Occhio al cervello – terza puntata

Occhio al cervello - Terza parte

La fabbrica delle sinapsi

La curiosità, innata, insopprimibile è un fatto di natura, l’anticamera della conoscenza. La spontaneità dell’esplorare genera nuove connessioni e nuove reti, crea dialogo tre le aree del cervello e crea esperienze, anche disparate e apparentemente non finalizzate. Ma tutto serve ad affrontare le incognite e alla plasticità cerebrale.

CENTRALE DI SMISTAMENTO

Cosa accade quando un segnale viene raccolto da una terminazione nervosa e viene trasmesso al cervello? Fino a 30-35 anni fa gli scienziati non avevano ben chiaro cosa succedesse là dentro : molti altri singoli organi (come il fegato, il rene, il polmone…) erano già stati studiati “smontati” e compresi nei loro meccanismi. Del cervello si sapeva pochissimo: quel chilo e mezzo di roba biancastra e molliccia come un budino era imperscrutabile e a prima vista sembrava che tutto fosse sia molto disordinato .

Il cervello è in realtà molto molto ordinato e organizzato. Quando uno sconosciuto vi tocca un braccio o il partner vi bacia, quando ascoltate la vostra musica preferita, osservate il verde rigoglioso della chioma di un albero o assaggiate la vostra torta preferita… le informazioni non arrivano al cervello mescolate fra loro. Ogni informazione percorre una strada prevista, e solo quella: i neuroni specializzati la raccolgono, gli assoni dedicati la trasmettono proteggendola da ogni interferenza; e arriva al cervello in una zona ben precisa.

La porta di ingresso tra tronco encefalico ed encefalo vero e proprio si chiama diencefalo, che è formato da sue parti: il talamo (che deriva da una parola greca: “la stanza più interna della casa”) e l’ipotalamo (ipo-talamo, “che sta sotto il talamo”). L’ipotalamo serve a controllare tutta una serie di attività involontarie, quelle funzioni del nostro corpo che accadono in automatico, senza che si debbano “pensare intenzionalmente” una ad una. Il talamo è una sorta di centralino di smistamento delle informazioni sensoriali: ogni segnale deve prendere il bivio giusto per raggiungere la regione del cervello che lo saprà interpretare, dargli la giusta importanza. Quindi organizzare una risposta oppure metterlo a disposizione di altre regioni cerebrali per una valutazione d’insieme oppure ancora archiviarlo tra le “emozioni concluse”, cioè, aumentare la stratificazione, la ricchezza e la diversità di quello che poi genericamente chiamiamo esperienza, competenza, sapienza.

Comprendere questa caratteristica è fondamentale per genitori, insegnanti educatori perché è la varietà degli stimoli che rende un cervello più attivo e plastico.

CURIOSI DI NATURA

Prima di tutto siamo curiosi, Inguaribilmente curiosi. Lo siamo da sempre e lo siamo dalla nascita. L’adagio popolare “curioso come una scimmia” lo descrive perfettamente: la curiosità è una dote che condividiamo con molti altri mammiferi, soprattutto i primati, nostri “cugini primi” dal punto di vista evolutivo. Essere curiosi significa sviluppare una propensione a esplorare il mondo che ci circonda. Agli animali, come ai nostri antenati, serve per trovare cibo, e magari scoprirne di nuovo, per conoscere i propri simili in vista dell’accoppiamento, ma anche per evitare i predatori. Oppure serve per aggiungere sapere, anche senza un motivo preciso, creando un bagaglio variegato di esperienza che prima o poi torna utile. In una parola la curiosità è l’anticamera della conoscenza.

Di solito associamo la curiosità ai bambini, che ci sfiniscono del loro perché questo e perché quello nel loro incessante cammino di scoperta. Per quanto riguarda gli adulti, a volte le affibbiamo una connotazione negativa, associandola al pettegolezzo o alla tendenza di farsi gli affari degli altri. La tv ci campa, di curiosità morbosa e ancora di più i social network.

Eppure, anche la curiosità sociale ha una sua funzione, quando non assume contorni patologici perché la curiosità, abbinata alla capacità del cervello di elaborare concetti astratti è la spinta alla scoperta, all’innovazione, la spinta esplorare l’ignoto. Ce l’abbiamo tutti questa spinta e quasi sempre è una spinta prorompente proprio da bambini o da ragazzi… poi si affievolisce bilanciata da una diffidenza dettata dall’istinto di conservazione (conformismo/omologazione/entrare negli schemi “protettivi” dell’ambiente sociale in cui viviamo).

Poca immaginazione, poca curiosità ci porta a conservare l’esistente e non accorgersi del cambiamento intorno a noi. Troppa curiosità ci porta al pericolo come Icaro che vola verso il Sole o come gli esploratori (ma anche il pilota di formula uno) che vogliono vedere se riescono a superare un limite. Una dose abbondante di curiosità e immaginazione è alla dell’arte, della scienza, della musica, dell’innovazione tecnologica. Poi c’è il confine labile… (ma perché provare a definirlo, poi) dell’eccentricità, equilibrio fra creatività, originalità, genio e follia, come spessissimo capita nella moda o nella musica. Spesso è il binarismo ad uccidere la curiosità: bisogna essere questo o quello, una via di mezzo o una altra possibilità non è contemplata. Eppure, la vita sulla Terra è fatta di sfumature non di rigide dicotomie.

Esercitando la curiosità (fi dai primi mesi di vita, ancor di più quando si inizia a gattonare o a camminare in autonomia) si forma poco a poco la capacità di elaborare concetti astratti, alla base delle facoltà cognitive, delle competenze, dell’educazione e del rispetto delle regole che propone/impone il gruppo sociale di appartenenza.

CREATIVI SI NASCE O SI DIVENTA?

Numerosi studi indicano che il pensiero creativo si può esercitare, si può allenare ma è altrettanto vero che per ora la scienza non è in grado di descrivere la “ricetta” della creatività. E forse non lo sarà mai. Ma proprio lo studio di queste singolari inclinazioni individuali, anche se non ci dovesse spiegare l’essenza di Mozart, Picasso, Einstein, potrà contribuire a fare chiarezza sulle tortuose vie dei processi mentali. Abbiamo però la possibilità di studiare il cervello (mentre è vivo, quello di Einstein donato alla scienza e sotto alcool non ci serve a nulla) e capire in quali situazioni si forma un concetto astratto e nasce un’idea.

Si è capito, per esempio, che la curiosità sembra aumentare in proporzione al grado di incertezza della posta in gioco più che alla grandezza della successiva ricompensa. In altre parole, più che il risultato, a renderci curiosi è il viaggio che dobbiamo percorrere per raggiungerlo. È per questo che ci fa bene essere curiosi per tutta la vita. Perché, oltre a metterci a disposizione nuove conoscenze la curiosità ci stimola a trovare nuove strade per ottenerle. Meglio ancora se, durante il cammino, scopriamo qualcosa che non stavamo nemmeno cercando. È la serendipità, molto indagata nella storia della scienza e del progresso tecnologico perché ampia parte delle scoperte scientifiche sono state assolutamente casuali. Ma la capacità di osservare quel caso con occhi diversi (curiosità, pensiero laterale…) ha permesso a un solo scienziato o scienziata di vedere quello che a molti altri era sfuggito.

Sicuramente sono state smontate tutte le “credenze” (spesso legate ad articoli giornalisti piuttosto frettolosi e superficiali) sulla presunta collocazione nell’emisfero destro. Di una fantomatica area della creatività. Sul web ancora circolano descrizioni in cui l’emisfero sinistro è analitico, pratico, organizzato, logico e razionale, quello destro è spaziale, non verbale, sintetico, globale, vivace, artistico e creativo. Tutto fasullo. È vero che esistono “mansioni” e specializzazioni dei due emisferi: la musica, per esempio, viene “elaborata” dall’emisfero destro, salvo poi scoprire che nei musicisti professionisti (e negli esperti di musica) viene attivato principalmente l’emisfero sinistro.

Dunque, quali aree si attivano nel nostro cervello durante un processo creativo? Impossibile individuare zone precise, ma si è visto che il cervello si attiva in tre modi diversi, come se, al di là delle aree specifiche già individuate esistessero dei “network”, cioè delle alleanze di aree diverse che mettono insieme le relative caratteristiche per rispondere a una situazione in modo vantaggioso. Ascoltare una lezione a scuola, fare il compito in classe o, nel pomeriggio a casa, concentrarsi per studiare qualcosa di nuovo e difficile prevede una “attenzione focalizzata” (Executive Attention Network) dove si attivano connessioni tra le regioni della corteccia prefrontale e le aree della parte posteriore del lobo parietale.

Quando invece dobbiamo costruire immagini mentali di esperienze passate, pensare a progetti futuri o immaginare alternative a scenari attuali, risolvere un problema molto pratico e che non avevamo mai affrontato prima entrano in azione aree profonde della corteccia prefrontale, del lobo temporale e varie regioni (esterne ed interne) della corteccia parietale. Questa rete di collegamenti tra aree diverse in questa dinamica si definisce Imagination Network ed è la stessa che si attiva anche nelle relazioni sociali, quando cerchiamo di immaginare, ad esempio, a che cosa stia pensando il nostro interlocutore.

Il terzo “circuito cerebrale”, battezzato Salience Network, monitora costantemente sia gli eventi esterni, sia il flusso di coscienza interno e, a seconda delle circostanze, dà la precedenza alle informazioni più salienti per risolvere il compito. Coinvolge la corteccia prefrontale mediale (cingolata anteriore) e la corteccia insulare anteriore.

Nel processo creativo una volta definito il problema, si verifica una riduzione dell’Executive Attention Network: questo rende più agevole l’immaginazione, l’intuizione e la formazione di nuove idee da parte dell’Imagination Network. Poi, a seconda della complessità del compito e delle stimolazioni dell’ambiente, si verifica una maggiore attività dell’Executive Attention Network e del Salience Network. Queste dinamiche sono emerse anche dalla ricerca svolta su rapper che stavano improvvisando, coinvolgendo sia il linguaggio sia la musica, nel processo creativo.

C’è ancora molto da scoprire su quello che accade nel nostro cervello durante un atto creativo, ma come ricordava Albert Einstein la creatività, in fondo, è “l’intelligenza che si diverte!”.

GENIALITA' ALL'OPERA

Chi è un genio secondo? Provate a scrivere, di getto, d’istinto, i primi tre nomi che vi vengono in mente! Per me sono Mozart, Klimt ed Enrico Fermi. Però così escludiamo Leonardo… Mozart è bravo, nulla da dire…. Ma non sono stati geniali anche i Pink Floyd o di Fabrizio de Andrè?

Tutti coloro che ricordiamo come personaggi importanti nella storia della letteratura, della musica, dell’arte, della scienza, della tecnica… straordinarie personalità creative della storia dell’umanità sono stati in quel momento dei geni… Ma dobbiamo confinare queste considerazioni solo a questi ambiti di indubbio valore culturale? Pelè è stato un genio del calcio? Ayrton Senna non è stato un genio della Formula Uno?

È impossibile definire “categoricamente” cosa sia la genialità, per quanto ognuno di noi sia capace di riconoscerla quando la incontra. Ancora più difficile, ovviamente, è scoprirne gli ingredienti. Capire dove e come scocca la scintilla che partorisce un colpo di genio, oppure quali siano i fattori (innati o acquisiti, come il carattere, la personalità, l’ambiente – che alimentano il pensiero geniale. Anche perché se vi chiedessimo di elencare il nome dei tre allievi o allieve più intelligenti della classe che tipo di valutazione andreste ad applicare? Presumibilmente il voto scolastico… Sicuramente chi prende tutti 8 e 9 è in cima alla classifica…ma automaticamente vuole dire che chi prende 6 non è intelligente?

Morfologicamente i cervelli dei sapiens sono tutti uguali: alla nascita (salvo casi molto particolari e rarissimi) tutti i bambini parto “alla pari”: in quel momento non c’è chi che è più capace in matematica o è un genio del disegno.

Dal primo giorno di vita in poi moltissimo dipende dagli stimoli che riceviamo e dall’ambiente in cui si cresce. Il nostro cervello è nato “elastico”, cioè, è stato da subito capace di accogliere tutti gli stimoli, dapprima sensoriale (carezze, musica, odori, cibo, stimoli visivi…) e questo rende il nostro cervello sempre adatto alle situazioni in cui “per caso” un bambino si trova a nascere e crescere. La plasticità del cervello umano è il risultato di stimolazioni differenti. I neuroni sono in grado di organizzarsi da soli: più stimoli si ricevono, più sinapsi si creano più si “ramificano” i percorsi sui quali scorrono le informazioni.

L’intelligenza non dipende affatto dalle dimensioni. Attualmente la capacità, il volume della scatola cranica degli uomini e donne sulla Terra varia tra 1.350 e 1.650, difficilmente supera i 1.700 centimetri cubici, la media mondiale è sui 1.450 cm cubici. Nelle donne il cranio è leggermente più piccolo, in armonia con il corpo che è tutto, mediamente, più piccolo di un corpo maschile. È stato osservato che le dimensioni del cervello non influiscono minimamente sui risultati: ci sono stati scienziati importantissimi con cervelli “piccoli” e con cervelli più voluminosi.

Tantomeno le dimensioni del cervello sono legate alle dimensioni del corpo, però è vero che noi sapiens, in rapporto alle dimensioni medie del nostro corpo, abbiamo il cervello più sviluppato: si chiama coefficiente di encefalizzazione, il rapporto tra massa del corpo e massa del cervello. Nel gorilla il rapporto è 1/230, nell’uomo 1/45. Anche in alcune specie di topi il rapporto è 1/45…ma non sono “intelligenti” come noi.

Andare a scuola è una “conquista” recente: fino a 150 anni fa mezza Europa non mandava i bambini a scuola in modo obbligatorio e fino ai 16 anni come oggi e tutt’ora in mezzo mondo è un lusso di pochi. Il ruolo principale della scuola, dove da 2-3 anni fino ai 16 passiamo una bella fetta di vita, dovrebbe essere la continua stimolazione dei neuroni a “crescere” aumentando le sinapsi; oltre a creare occasioni di confronto tra pari e di incontro con nuove figure di adulti, diversi da genitori. Che accade nel cervello in questi anni?