Da 0 a 10 anni, intelligenzE in crescita (schermi sì o schermi no?)
Una ricetta perfetta non esiste. Smartphone, tablet, videogiochi e piattaforma on line di intrattenimento sono la quotidianità e sono strumenti che vanno conosciuti e padroneggiati. Conoscere di cosa ha bisogno il cervello da 0 a 12-13 anni permette di valutare dosi e modalità di utilizzo degli schermi e delle diverse applicazioni.
UN CERVELLO DELL’ETA’ DELLA PIETRA
Strutturalmente il cervello non è cambiato negli ultimi 180-200 mila anni. Per essendo nell’era dell’elettronica diffusa, degli smartphone sempre in tasca e degli schermi sempre accesi e richiedenti, abbiamo un cervello dell’età della pietra, come titola un importante saggio di Richard E. Cytowic (pubblicato da Apogeo). Il nostro sistema nervoso centrale è capace di adattarsi e di affinarsi nei suoi meccanismi, nella sua capacità di gestire tutti gli stimoli che l’ambiente circostante propone e impone. Il nostro cervello è lo stesso dei nostri antenati di 10 o 20 mila anni fa e al tempo stesso è ben diverso da quello che si è “acceso” nel momento in cui siamo nati. Per migliaia di anni abbiamo vissuto all’aperto, risolvendo con fatica mille problemi e inseguendo il cibo. Durante il Neolitico (da 10 mila a 3 mila anni or sono) le scoperte scientifiche come agricoltura, domesticazione degli animali, utensili, tecniche di costruzione delle abitazioni… hanno segnato il passaggio da una vita nomade a una vita sedentaria innescando una profonda trasformazione delle società umane e le loro strutture sociali. Negli ultimi 3-400 anni chi ha avuto la fortuna di nascere in alcune regioni del mondo (Occidente) ha goduto di una crescita esponenziale della qualità della vita, sempre basata sul progresso scientifico e tecnologico (e sulla predazione di energia e materie prime nei confronti del Sud del mondo) ma di fatto nessuno di noi è nato per esser digitale. Se nei primi 10-12 anni di vita il cervello non vive un significativo ventaglio di esperienze dal vero (non simulate attraverso uno schermo) in età adulta sarà un cervello meno potente, meno versatile, più disattento, incapace a individuare il rapporto causa-effettivo e a creare sequenze logiche, con scarsa propensione a pensieri creativi, al pensiero laterale, allo spirito critico. In definitiva un cervello impigrito e manipolabile.
Lo sviluppo del cervello che nei bambini accade tra 0 e 10-12 anni è qualcosa di straordinario, il risultato di 6 milioni di anni di evoluzione. Conoscere le fasi dello sviluppo del pensiero e delle diverse intelligenze aiuterà genitori, insegnanti, educatori prima di tutto ad accompagnare senza tarpare le esperienze; quindi, a dosare in modo opportuno la presenza di smartphone e social network.
0-2 ANNI: IL PERIODO AVVENTUROSO
Il periodo da 0 a 2 anni costituisce una finestra d’opportunità unica durante la quale il cervello è predisposto in modo estremamente efficiente ad apprendere e adattarsi. Le esperienze sensoriali, motorie ed emotive ricevute in questi primi anni creano le fondamenta per lo sviluppo futuro, e la mancanza di stimoli adeguati in questa fase può rendere davvero difficoltoso il recupero o l’acquisizione di alcune competenze successivamente. Il cervello vive una fase di crescita straordinaria impetuosa, caratterizzata da una plasticità elevatissima e dalla formazione rapida di connessioni sinaptiche. Questo periodo, definito “critico”, è essenziale perché le esperienze ambientali plasmano in modo determinante le basi delle funzioni cognitive, sensoriali, motorie ed emotive. Bisogna permettere al bebè tutte le avventure possibili e lasciarlo libero di esplorare, in tutte le direzioni,
Al livello neurale nei primi due anni il cervello vive quella che si chiama la sinaptogenesi intensiva: si creano milioni di nuove sinapsi ogni secondo. Queste connessioni, che collegano i neuroni, si formano in risposta a stimoli esterni. Se un particolare circuito viene attivato frequentemente, la connessione si rafforza; al contrario, se non viene usato, subisce una potatura (pruning) per ottimizzare l’efficienza cerebrale, per risparmiare energia. È il periodo in cui si pongono le basi per la plasticità e sensibilità ambientale: esperienze tattili, sonore e visive (come il contatto fisico con i genitori, nonni, sorelle e fratelli e insegnanti del nido), la variazione dei suoni ambientali o il semplice osservare volti e oggetti, guidano lo sviluppo dei circuiti neurali. Se ad esempio vengono forniti stimoli visivi adeguati (la luce, i contrasti, i movimenti), i circuiti responsabili della visione si sviluppano correttamente; in assenza di tali stimoli, certe funzioni, come l’acuità visiva, possono compromettersi in modo irreversibile.
Ogni area del cervello che sappiamo si andrà a specializzare in una funzione specifica va adeguatamente stimolata per creare una ben strutturata organizzazione e differenziazione cerebrale. Sono i mesi in cui si inizia a parlare (le regioni responsabili del linguaggio che nel tempo vedranno una preponderanza dell’emisfero sinistro) e a gattonare/camminare: funzioni di capacità spaziali e non verbali, più ospitate nell’emisfero destro. Lo sviluppo motorio deve avvenire con il massimo della spontaneità: dai primi movimenti riflessi alla scoperta di controllare il proprio corpo, il bambino attiva e rafforza le connessioni tra le aree cerebrali che coordinano la percezione e il movimento. Tali sviluppi sono strettamente collegati al modo in cui il bambino esplora fisicamente il mondo, ponendo le basi per competenze motorie più complesse in seguito. E soprattutto si pongono le basi per l’autostima: vivere in un ambiente artificiale (la casa) e troppo protetto (genitori e nonni che sono costantemente in ansi a impediscono ogni potenziale pericolo) crea nel bambino l’idea che il mondo sia pieno di ostacoli insormontabili e viene meno il gusto dell’avventura lasciando posto al timore di fare. L’iper protezione dei genitori crea una zona di comfort che di fatto è un danno per lo sviluppo delle capacità cognitive e relazionali.
Sempre nei primi due anni si assiste allo sviluppo dei sistemi fondamentali a partire dal sistema sensoriale. Gli organi di senso, specialmente la vista e l’udito, iniziano a consolidare i loro circuiti durante i primi mesi di vita: serve osservare la natura del vivo, farsi riempire gli occhi dai colori in tutte le sfumature e ascoltare suoni veri e musica ad alta fedeltà: gli schermi sono deleteri perché offrono immagini di bassa definizione e una finta tridimensionalità. Idem per i suoni.
Infine, le relazioni affettive e sociali: le interazioni con i caregiver e le prime forme di comunicazione giocano un ruolo determinante nella formazione dei sistemi emotivi. Il legame affettivo non solo regola l’autostima e la capacità di gestione delle emozioni, ma influenza anche lo sviluppo di circuiti neurali legati alla regolazione emotiva. Studi hanno dimostrato, ad esempio, che la qualità del contatto precoce può avere effetti duraturi sul comportamento e sul benessere psicologico.
3-5 ANNI: ESPLODE LA CURIOSITA’
Il periodo 3-5 anni segna una fase di transizione in cui la pura curiosità del bambino si trasforma in una capacità di esplorazione sofisticata e intenzionale, senza saperlo arrivano a progettare delle esperienze scientifiche al pari degli scienziati in laboratorio. Il cervello, rafforzato da connessioni efficienti e specializzate, è pronto a interpretare e rielaborare stimoli complessi, favorendo lo sviluppo di competenze linguistiche, cognitive, emotive e motorie. Dal gioco alla conversazione ogni istante di vita non è solo un momento di divertimento, ma un tassello fondamentale per costruire le basi del pensiero critico e della creatività futura.
Giocare (giocare davvero, non pacioccare lo schermo di un tablet con un polpastrello su dieci) significa mettere in pratica il raffinamento delle reti neurali. A partire dai 3 anni, il cervello ha già prodotto un’enorme quantità di connessioni durante i primi anni di vita, ma ora entra in gioco il processo di pruning sinaptico. Questo significa che le connessioni meno utilizzate vengono rapidamente eliminate, mentre quelle frequenti e funzionali vengono rafforzate, rendendo il sistema neurale più efficiente ed economico nel consumo energetico. In altre parole, ogni interazione, osservazione, e azione guida la “selezione” delle connessioni cerebrali, rendendo il cervello più capace di gestire e organizzare informazioni complesse .
In questo intervallo di età accade una vera e propria esplosione di curiosità. La crescita linguistica è notevole: il vocabolario si espande in modo esponenziale e i bambini iniziano a usare il linguaggio non solo per comunicare bisogni immediati, ma anche per esprimere pensieri, raccontare esperienze e formulare domande sul loro ambiente. I libri hanno un ruolo fondamentale: dai silent book ai primi libri da leggere insieme a mamma e papà servono ad aumentare il numero di vocaboli e i concetti ad assi collegati, punto di partenza per i pensieri astratti che seguiranno negli anni successivi.
Durante i 3-5 anni i bambini migliorano notevolmente la coordinazione occhio-mano, perfezionano i movimenti fini e acquisiscono una maggiore consapevolezza del proprio corpo nello spazio. Per un armonioso sviluppo motorio e integrazione sensoriale servono giochi fisici in cui le mani e tutti i sensi siano coinvolti. Bisogna lasciare libero il bambino di interagire meglio con l’ambiente: manipolare oggetti, disegnare, giocare con i puzzle, costruire con oggetti di ogni tipo, usare attrezzi (forbici, martelli, colla, pinze…), correre liberi… stimola circuiti neurali specifici che lavorano in sinergia con quelli responsabili delle funzioni cognitive e linguistiche. Combinare qualche pasticcio o si ferirsi leggermente fa parte dell’esperienza. Inutile dire a un bimbo: “questa è una rosa, non toccarla perché ha le spine e ti pungi il dito”. Bisogna mostrare la rosa, toccarla con le proprie mani, fa vedere dove c’è la spina e permettergli di ripetere l’esplorazione. Forse si pungerà, forse no. Ma se si punge ha imparato un meccanismo causa-effetto e capito il senso del limite. In questo frangente se il genitore ha paura dell’acqua il figlio molto probabilmente avrà paura dell’acqua. Se genitore è a proprio agio a camminare scalzo in un prato, si fa salire sul palmo della mano un ragnetto o un insetto per osservarlo da vicino, durante un viaggio assaggia senza pregiudizio ogni tipo di cibo locale è molto probabile che il figlio faccia altrettanto. Come per i neuroni specchio per lo sviluppo dell’empatia il buon esempio e il gusto dell’esplorazione è sempre contagioso.
Oggi spesso si ricorre alla sigla STEM (Science Technologies Engineering Matematic) per indicare l’insieme di attività di sperimentazione scientifiche, anche in natura. Trovo buffo ascoltare insegnanti e dirigenti che “scoprono le STEM” quando basterebbe ripassare un po’ il metodo Montessori, in cui, 70-80 anni fa, i benefici di questo tipo di didattica erano già ben chiari.
Il gioco simbolico diventa una modalità privilegiata per esplorare il mondo: un bastone diventa una spada, una scatola diventa una casetta e, così facendo, il bambino sviluppa la capacità di rappresentare oggetti e situazioni in modo astratto. Questo tipo di gioco, che permette di sperimentare ruoli e scenari diversi, è cruciale per la formazione del pensiero astratto e della creatività.
Giocare significa stare con altri bambini, coetanei all’incirca, senza la presenza degli adulti che sono una interferenza troppo forte e spesso castrante. Bisticciare e poi mettersi d’accordo, sviluppare insieme una situazione di fantasia costruire qualcosa o esplorare un prato o un ruscello sono momenti utili anche per lo sviluppo delle capacità emotive e sociali, ovvero esercitarsi a riconoscere e a gestire le proprie emozioni in modo più articolato. Le interazioni con i caregiver, i pari e (i bambini che si possono conoscere al parco giochi o durante un laboratorio creativo o una gita in natura) favoriscono l’acquisizione di competenze sociali fondamentali. La capacità di decifrare le emozioni proprie ed altrui si affina, e grazie alle esperienze emotive condivise il bambino apprende come instaurare relazioni basate sulla fiducia e il rispetto. Alcune regole arrivano dal mondo dei grandi ma il gioco libero e non strutturato è anche una palestra di progettazione di regole condivise con i pari. Queste interazioni sono un terreno fertile per lo sviluppo di una solida intelligenza emotiva, essenziale per il benessere psicologico futuro, nel rispetto delle diversità.
6-7 ANNI: SI STRATIFICANO LE ABILITA’ COGNITIVE
Nel periodo 6-7 anni il bambino passa a integrare e organizzare in maniera più complessa le diverse componenti cognitive che, fino a quel momento, si stavano sviluppando in modo più frammentario. In sostanza, le capacità come linguaggio, memoria, attenzione, percezione e ragionamento iniziano a “stratificarsi”: ognuna si affina singolarmente e, allo stesso tempo, si intreccia con le altre per formare un sistema cognitivo più strutturato. Il cervello funziona sempre meno “a blocchi” delle singole funzioni cognitive privilegiando, mese dopo mese, la gestione integrata e strutturata delle informazioni, rendendo possibile un pensiero più logico, organizzato ed efficiente.
Negli anni della scuola dell’infanzia il cervello si concentra sulle abilità di base (riconoscere forme, usare parole semplici, ricordare esperienze immediate…); con l’inizio della scuola primaria vengono organizzate in un sistema multilivello. Le informazioni provenienti da diverse esperienze vengono immagazzinate non più come dati isolati, esperienze-monomeri ma come parte di una rete più ampia e coerente, esperienze-polimeri. Questa capacità di “incasellare” ed elaborare le informazioni in maniera organizzata permette di comprendere meglio concetti complessi e di collegare dati provenienti da varie esperienze.
A tutto vantaggio dell’affinamento della memoria e dell’attenzione, che sta alla base della memoria di lavoro: dai 6-7 anni il bambino non solo ricorda meglio le informazioni, ma impara a manipolarle per risolvere problemi o per seguire una storia più articolata. Allo stesso tempo, l’attenzione diventa più sostenuta e selettiva, capace di fissarsi su compiti specifici, filtrando le distrazioni ambientali e migliorando così l’apprendimento di nuove nozioni, soprattutto in contesti scolastici e di gioco strutturato. L’importante è andare con il giusto passo, con una po’ di lentezza. La frenesia tipica dei social network e il “saltare di palo in frasca” come accade con i video di TikTok è assolutamente deleterio. Può esser un momento di svago, pochi minuti di tanto in tanto ma non certo una prassi quotidiana che tiene gli occhi incollati allo schermo per ore.
Ancora una volta l’interazione con i coetanei svolge un ruolo cruciale in questa fase. I giochi in gruppo in famiglia e nel tempo libero, le attività di gruppo in classe forniscono un terreno fertile per applicare e consolidare le nuove capacità cognitive perché è specialmente attraverso il confronto e la collaborazione che il bambino impara a negoziare, a ragionare in modo critico e a integrare le proprie conoscenze con quelle degli altri, rafforzando ulteriormente la stratificazione del suo sistema cognitivo. Cantare in coro, fare un murales tutti insieme, gli sport di squadra sono fondamentali e soprattutto gli esperimenti scientifici in gruppo, dove si stimola l’evoluzione del ragionamento logico. Proprio tra i 6 e i 7 anni si è pronti per passare dalla fase preoperatoria, dominata da un pensiero prevalentemente immaginativo e con limitate capacità di astrazione, a una forma di pensiero più concreto e logico. Secondo le teorie del pedagogista e psicologo Jean Piaget, a partire dai 7 anni i bambini cominciano ad affrontare il pensiero operativo concreto, ossia la capacità di ragionare su eventi e concetti basati su dati sensoriali ed esperienze dirette. (sottolineo sensoriali e dirette!). Ad esempio, iniziano a comprendere la relazione di causa-effetto, a classificare gli oggetti in categorie e a risolvere problemi seguendo una logica sequenziale e coerente.
Che porta direttamente alla capacità di progettare e gestire funzioni esecutive: pianificare, organizzare e regolare il comportamento che permettono al bambino di autocontrollarsi nei confronti degli impulsi immediati e di impiegare strategie per raggiungere obiettivi specifici. Tale sviluppo è fondamentale per affrontare le esigenze della vita scolastica (e della vita adulta, specie in un contesto di relazioni e di lavoro) e favorisce una maggiore autonomia, poiché il bambino impara a gestire il tempo, seguire regole e risolvere problemi in maniera autonoma. Libri, musica, danza, teatro, sport di squadra (ma senza agonismo, è troppo presto!), film (visti insieme su grande schermo, come al cinema) e soprattutto esperimenti scientifici e vita in natura ad ogni occasione sono più che mai essenziali.
8-10 ANNI: VERSO IL PENSIERO ASTRATTO
Tra gli 8 e i 10 anni, sebbene il bambino operi ancora in gran parte con il pensiero concreto, si evidenziano i primi e promettenti segni del pensiero astratto. La capacità di riconoscere e generalizzare concetti, utilizzare il linguaggio in modo simbolico e formulare considerazioni ipotetiche costituiscono tutti elementi fondamentali che preparano il terreno per il pensiero formale che si svilupperà maggiormente negli anni successivi. Questa fase è cruciale perché rappresenta il ponte tra l’apprendimento pratico e il ragionamento più teorico, aprendo la strada a una comprensione più profonda e multilivello del mondo. Gli adulti devono in questi anni favorire il più possibile il progressivo ampliamento della capacità di elaborare concetti e relazioni che vanno oltre ciò che è immediatamente percepibile con i sensi.
Se in precedenza il ragionamento era fortemente vincolato a ciò che si poteva vedere o toccare, ora si sviluppano le prime forme di pensiero astratto. Lo si può notare osservandoli giocare: qualcuno inizia un gioco con la frase “E se facciamo che io ero e tu eri…”, che, pur non formulando ipotesi complesse, indicano il desiderio di misurarsi con domande del tipo “e se accadesse…?”. È un modo “incruento” e protetto di simulare ed esplorare le possibili conseguenze di azioni o eventi immaginari, un segno che il loro ragionamento si sta espandendo oltre il qui e ora. Spesso è una simulazione del mondo adulto, delle cose e dei comportamenti che vedono intorno a sé.
Anche se sembra meno curioso di quando aveva 4-5 anni, i bambini sono costantemente protesi a individuare relazioni e similarità tra oggetti o situazioni che, in apparenza, non sembrano collegati. Ad esempio, può categorizzare un gatto, un cane e un coniglio in un insieme comune, basandosi su concetti generali come “animale domestico” o “essere vivente”. Questo è il miglior allenamento per favorire la generalizzazione e astrazione dei concetti. Il bambino non si limita più a memorizzare informazioni su ogni singolo oggetto o evento, ma inizia a raggrupparli in categorie basate su caratteristiche comuni e astratte. Questo significa che il pensiero non è più solo una raccolta di dati isolati, ma una rete organizzata di concetti interconnessi.
In questi anni il gioco diventa sempre più simbolico. Non si tratta più solo di usare un oggetto per rappresentare un altro in maniera fissa, ma di costruire scenari complessi dove gli oggetti assumono significati multipli e possono essere manipolati mentalmente in modo creativo. Ci si allena al pensiero ipotetico: pur non avendo ancora pienamente sviluppato il ragionamento ipotetico-deduttivo (che diventerà più pronunciato durante l’adolescenza), i bambini iniziano a sperimentare con l’idea di possibilità alternative. E si inizia anche ad usare il linguaggio come strumento di astrazione, ci si accorge quanto la parola, la narrazione sia un mezzo potente per rappresentare idee astratte. Attraverso le storie e i racconti, il bambino impara a dare un senso simbolico a concetti come “amore”, “giustizia” o “amicizia”, che, pur non essendo tangibili, hanno un forte impatto sul modo in cui interpreta il mondo. Ovviamente un vocabolario ricco di alternative permette di descrivere meglio il proprio concetto astratto, mentre un linguaggio povero e appiattito diventa una pensante ancora che striscia sul fondale frenando la voglia di immaginare e raccontare. Servono ore di lettura e non ore passate a scrollare Instagram o TikTok.
A scuola tra gli 8 e i 10 anni le attività dovrebbero iniziare a incorporare elementi che richiedono non solo il riconoscimento immediato di fatti, ma anche la capacità di collegarli tra loro. I compiti di problem solving, le attività di gruppo, i laboratori creativi, gli esperimenti scientifici, le attività outdoor incoraggiano i bambini a utilizzare il pensiero astratto per identificare schemi e risolvere problemi. E per incentivare l’espansione delle competenze sociali servono interazioni con i pari e con gli adulti sempre più ricche e articolate. Dialogare su concetti non legati al mondo fisico immediato aiuta il bambino a sviluppare una maggiore empatia e a comprendere punti di vista diversi, elementi fondamentali per una futura capacità di ragionamento critico e autonomo. Come le attività di cittadinanza e di educazione ambientale, per esempio.
IN DEFINITIVA SCHERMI SI O SCHERMO NO?
Schermi no, proprio no! Dopo quanto abbiamo esposto nelle prime quattro puntate del nostro viaggio del cervello (e del cervello in crescita delle bambine e dei bambini) è chiarissimo che i troppi momenti passati a tu per tu con uno schermo, qualunque schermo, tolgono tempo prezioso all’interazione vera con il mondo vero e con gli altri bambine e bambini, dal vero. Vivere intensamente nel qui e ora è fondamentale per dare al cervello tutti quegli stimoli sensoriali, esperienziali, emotivi che ha bisogno per strutturarsi. La riproduzione del mondo che possiamo percepire attraverso uno schermo non è solo riduttiva, è deleteria per il cervello perché ne impedisce uno sviluppo stratificato, robusto e armonioso. È pur vero che computer e smartphone, web, app e social network sono la realtà dei giorni nostri e bisogna esser attrezzati a usarla. Una piccola dose quotidiana (30 minuti, dicono molti esperti) è sufficiente nei primi 10-12 anni per non togliere allo sviluppo del cervello le opportunità che gli servono e, allo stesso tempo, esser cittadini digitali, cioè, saper usare la tecnologia per le sue innegabili potenzialità, anche didattiche e educative.